Il sonetto alla burchia prende il nome dal poeta Domenico di Giovanni detto il Burchiello (Firenze 1404 – Roma 1449) che per vivere esercitò la professione di barbiere. Il “burchio” era un battello che veniva caricato “alla rinfusa” e come espressione era antecedente al Burchiello, ma rimane incollata al suo nome e rimare “alla burchia” significa costruire dei testi ricchi di significati e immagini discordanti, accumulare le parole per raggiungere alla fine un effetto comico. Un genere poetico che ebbe grande fama e il Burchiello lo adottò in gran parte dai suoi precessori e ci furono numerosi imitatori.
Questo tipo di sonetto è molto particolare, perché usa come protagonisti animali, vegetali e oggetti di tutti i giorni, si compone innanzitutto usando uno schema canonico: il sonetto caudato, con il primo verso della coda ridotto a settenario, nella quasi totalità dei casi con schema rimico: ABBA ABBA CDC DCD dEE. Ad una prima lettura sembra che non abbia senso e che si tratti di un garbuglio di parole, ma la prima quartina prevede di solito un accumulo di soggetti, accostati in modo incongruo; la comparsa del verbo principale è ritardata al secondo o al terzo verso; la quartina è chiusa e si conclude in modo tradizionale; la seconda quartina è una variazione della prima; le terzine introducono di solito un cambiamento di tono o uno sviluppo narrativo; la coda, cioè nell´ultima terzina, è un apologo o una sentenza. La versificazione “alla burchia” scompone la realtà nei suoi elementi e la ricompone in una realtà diversa, tra il visionario e l’onirico».
Leone Antenone
Tratto da:
“I sonetti del Burchiello”
a cura di Michelangelo Zaccarello per Einaudi
“Burchiello sgangherato e senza remi”
di Barbara Ricci da www.fillide.it