Lontano nel tempo, dove la realtà cede spazio ai sogni, conobbi un costruttore di strumenti musicali. I suoi capelli erano come trucioli di legno, i suoi occhi, dai contorni indefiniti, erano verde-nero come il petrolio. Tra i tasti bianchi di un pianoforte rosa si nascondeva una risata sonora, negli occhi si leggeva il desiderio di far volare le persone sulle sue note. Aveva una chitarra a tracolla e mani callose pronte a creare nuove idee.
Chiedevo a chiunque da quanto tempo fosse lì, e tutti mi rispondevano che, a quanto ne sapevano, era lì da sempre ad ascoltare tutti i suoi ospiti, e a regalare sogni a chi fosse stato pronto ad accoglierli. Ognuno portava la propria idea. Lui ascoltava in silenzio quello che avevano da dire, e dopo tante parole, se pensava che l’idea valesse qualcosa, interrompeva l’interlocutore con il suono della chitarra e suonava il suo giudizio.
Tanta gente prima di me stretta in una fila: sognatori, contestatori, uomini, donne, bambini; tutti volevano uno strumento costruito da lui.
Quando lo conobbi era una fresca sera d’estate, nel cielo brillava una luna sorridente, eravamo in un giardino, il suo giardino, la sua casa. Vecchie panchine di un colore che ricordava la terra bagnata fungevano da salotto. Lui era seduto lì, e mentre accordava la chitarra, mi sorrise e incominciò a parlare di tutta quella gente di passaggio. Mi raccontò di un uomo alto, con gli occhi grandi, di quanto parlarono. Disse che lo sentì a lungo, sentì tutto quello che aveva da dire, e alla fine del suo discorso gli disse: “Per te costruirò un flauto, incanterai tutti, e poi ti seguiranno.” Nel mondo si parlò delle note emesse da quel flauto, di come quell’uomo riuscì a salvare un’intera città dalla minaccia dei topi.
Un’ altra storia che mi raccontò, mi incuriosì molto. Cominciò a narrare di un giovane ragazzo, un po’ duro d’ orecchie, ma capace di scrivere della musica meravigliosa. Lo guardò con i suoi occhi profondi e poi gli disse: “Per te costruirò un pianoforte con la coda, lo dovrai portare per il mondo suonando la musica che scrivi.” Il ragazzo se ne andò e ben presto tutti conobbero la sua musica, e come il canto delle sirene stregò tanta gente in giro per il mondo. Aggiunse poi che sognava di costruire lo strumento più bello.
Così venne il mio turno: cominciai a parlare, a declamare le mie poesie. Lui mi sentì a lungo, mi accompagnò con la sua musica, mi rivelò che riconosceva in me un sognatore, e per questo volle farmi un regalo. Mi donò una cetra, disse che era uno strumento adatto a me, alle mie corde. Mi consigliò inoltre di ascoltarmi, così avrei potuto apprezzare l’unione del suono della sua cetra e della forza delle mie parole.
Mi salutò e mi disse infine: “Continua a sognare”, e sognando si congedò da me.
03 settembre 2007
dedicato a Nicolàs Aldo Parente
Leone Antenone detto Scartaccia
pubblicata in “Fili di Fantasia”
Aracne edizioni – aprile 2016
Mi piace la figura del costruttore, un saggio che sa leggere
fra le righe. E come tutti i saggi, sei riuscito a creare un personaggio con il
suo alone di mistero. Mi piace come hai conciliato la parte emotiva “le note” emesse
dagli strumenti costruiti dal saggio e
la parte razionale rappresentata “dalle sue mani callose”.
Nel pezzo finale della storia mi sarebbe piaciuto che le
storielle fossero raccontate di più, magari
articolate con qualche aneddoto fantasioso che svelassero qualche mistero dell’uomo
saggio … non so, è stata una sensazione che fosse finita troppo presto rispetto
alla parte introduttiv!
È una storiella dolcissima e buona. Cric, adesso II anno …. Ti inseguo!
E quindi…hai una certa nascosta da qualche parte??? Perché quel poeta sognante non puoi essere che tu…