Il gioco poetico di Leone Antenone

Nota di Vincenzo Luciani sull’ultima sua raccolta poetica
Pubblicato il 6 Novembre 2018 su www.poetidelparco.it

Alcune considerazioni prima di entrare nell’esame di Er pallonaro (poesie 2011-2013), in dialetto romanesco di Leone Antenone ed altri autori (Claudio Porena, Davide Finesi, Alessandro Valentini, Maurizio Rossi, Marcello Nardo, Patrizia Formiconi, Giuseppe Caporuscio, Stefano Ambrosi), illustrazione di Luana Baglioni, pp. 32 Edizioni Cofine, Roma, 2014, ISBN ISBN 978-88-98370-07-8, euro 8,00. Vorrei partire dalla sua precedente raccolta Granelli di Roma – Verso un Verso diVerso che è del 2011, perché è utile per far toccare con mano i progressi poetici di Leone. Di questa prima raccolta mi piacquero, sarò sincero, solo poche poesie e tra queste: “Er penzatoio”, “Er bagajo” e “L’officina dell’idee” “Er penzatoio” si riferisce ad un’operazione quotidiana, comune a tutti noi (detta però da Leone con molta levità, cosa che richiede bravura). La poesia sarebbe stata perfetta se si fosse conclusa con il verso “e volo via coll’Immagginazzione” senza i due endecasillabi della chiusa finale a rima baciata, in favore della recita e dello spettacolo, ma con una piccola caduta di stile. “Er bagajo” si apre con “Penso spesso a la vita come un viaggio” e la sua consapevole direzione è “verso er monno der miraggio”. Quindi qualunque cosa gli accada nella vita la sua reazione (il suo bagaglio) sarà di non lasciarsi smontare e di proseguire nel suo percorso “co na manciata giusta d’ironia” e “un nunsocché d’amaro ner sorriso”. “L’officina dell’idee” invece ci introduce nella bottega del poeta in cui l’estro “lavora da martello”, “la metrica funziona da scarpello” e “l’Ispirazzione poi fà da mordente, / dipigne e lustra bene er ritornello” infine, dopo il necessario riposo, i “pensieri controversi” del poeta-artigiano “ne la capoccia troveno la pace / e fondono ne l’Arte de li versi”. Granelli di Roma è composto di 28 poesie e, secondo la nota introduttiva dell’autore raccoglie “i miei primi tentativi di incastrare la mia sensibilità poetica negli accenti dell’endecasillabo e spesso nella struttura del sonetto”. Due, aggiunge Leone sono le motivazioni che lo spingono a comporre: la prima e la principale  è “la liberta d’espressione” e la seconda “la possibilità di utilizzare la tecnica come un arnese sempre pronto ad essere affinato, migliorato per comunicare la propria arte poetica” Ultima notazione su Granelli di Roma: l’affettuosa prefazione di Renato Merlino e la postfazione di Claudio Porena, il caro amico linguista e la sua “coperta di Linus”, mentre “Basco rosso” Merlino è per Leone un modello di attore teatrale e di improvvisazione, di poetattore). Merlino, che conosce bene Leone, così ce lo descrive: “Questo poeta è un sognatore e nei suoi versi si possono percepire le sue più vibranti ispirazioni, i suoi ricordi, le sue ambasce e le sue gioie, le sue continue ricerche familiari”. Ho conosciuto Leone tramite Porena e poi un po’ alla volta i nostri incontri si sono fatti sempre più frequenti in diversi reading o dialetture (come ama definire le letture di testi in dialetto). Leone Antenone – e mai nome fu più esagerato è tutto meno che un leone, semmai la gentilezza fatta persona, uno che non si dà arie, che si muove con una certa timidezza mascherata che supera poi nelle sue performance. L’ho visto all’opera nelle tre cose che più gli piacciono: l’improvvisazione, la declamazione, il gioco. Ed in queste si trasforma e fa la parte del Leone (con la maiuscola, s’intende). L’ho osservato nei suoi comportamenti usuali ed ho constatato che è una persona che assorbe come una spugna, che impara in fretta e anche bene, che sa correggere le imperfezioni, in una parola: determinato. Gli piace da morire l’improvvisazione (per riuscire nella quale ci vuole tanta preparazione). Io l’ho messo alla prova ad Ischitella in un reading del Premio, allorché si è verificato un inconveniente tecnico: luci spente improvvisamente e l’ho trovato pronto ad intrattenere il pubblico in attesa che tornasse l’illuminazione. Insomma l’improvvisazione non si improvvisa. Gli piace tanto declamare, soprattutto i suoi versi, ma non disdegna quelli degli altri e quando servono li sa usare. Gli piace il gioco (l’ho scoperto già nel suo Granelli di Roma. Nel libro era inserita una cartolina su un lato della quale c’era il suo sonetto di presentazione “S come sono” e sull’altro lato la rappresentazione di un gioco e l’invito a mettersi in contatto con lui. Un’altra caratteristica di Leone è che sa promozionare i suoi spettacoli, senza trascurare nulla, inventandosi cose giocose da offrire a chi partecipa per autofinanziarli. Gli piace soprattutto il gioco con le parole che è la vera prerogativa di un poeta degno di questo nome. Il gioco con le parole consente la reinvenzione delle cose che più ci stanno a cuore e tra queste l’infanzia che è il momento più creativo dell’uomo, quello in cui ci si meraviglia per ogni cosa vista per la prima volta con occhi insaziabili, quello in cui si dà un nome alle cose e alle persone. Un momento magico di cui solo il gioco della poesia è capace di suscitare la ri-creazione. Nel mio dialetto esiste un termine: addicrijà che definisce questa operazione e la gioia che essa trasmette. E veniamo cosi a Er Pallonaro – poesie 2011-2013. Qui siamo di fronte a una crescita sotto tutti i punti di vista del poeta Leone Antenone, a testimonianza che, per chi vuole riuscire, gli anni non passano invano. Apprezzabilissima intanto la scelta di selezionare solo 8 poesie + una (ma quest’ultima, “Il palloncino” è del 2010, ed è funzionale a tutta l’operazione che sta dietro al libro. Infatti descrive non solo lo strumento di gioco e di poesia dell’autore, ma anche quello degli otto poeti sodali che si sfidano su una forma metrica, quella del “palloncino”, inventata da Leone e descritta nel libro, con le varianti apportate da alcuni autori). La poesia palloncino utilizza la tecnica del rondò italiano, una composizione in quartine rimate e incatenate. Ogni quartina è a rima alternata e l’ultimo verso rima col primo della strofa seguente, per cui ciascuna rima risulta ripetuta quattro volte. L’andamento delle rime pertanto è questo: ABAB / BCBC / CDCD, ecc. Il tutto dà l’idea di un ballo circolare, fatto ruotando su se stessi e girando contemporaneamente anche la sala, fino a tornare al punto di partenza. Vi confesso che quando mi sono trovato di fronte ai “palloncini” antenoniani o “scartacceschi”: la prima reazione è stata: ma questo è un po’ matto e presuntuoso. Impressione sbagliata. Si tratta di persona seria, di un giocatore (anzi di giocatori, considerando anche i suoi sodali) di parole, diversamente da me, ma sempre giocatori. Delle otto poesie di Leone mi sono piaciute soprattutto: “Er pescatore”, “Naufrago” e “La realtà de li sogni”. Nella prima poesia vien fuori la sua filosofia, di uomo non incline ad arrendersi e sempre teso all’obiettivo che è l’immaginazione (cioè la tensione massima dell’artista verso qualcosa che si desidera ardentemente e che però, appena questa diventa realtà, si colora di delusione). Due esempi illustri: “Il poeta è un fingitore” (Fernando Pessoa)… “Io nel pensier mi fingo…” (Leopardi). La poesia “Naufrago” richiama Leopardi e il suo “naufragar m’è dolce in questo mare”, ma il contesto non è quello della contemplazione cosmica leopardiana, bensì quello della lotta “der vive quotidiano” di Vincenzo Scarpellino (Vivemo stretti come le sardine / e se scanzamo pe restà lontani / coremo tutti p’agguantà un domani (…) Pago lo scotto, smammo, m’arintano / e a tu per tu co la coscienza mia, / scanzo er tran-tran der vive quotidiano / pe córe incontro a un monno de poesia, / che m’accarezza e che me pìa pe mano / pe dà lo sfratto a la malinconia!). Ed ecco ora Leone: Coll’occhi chiusi navigo ner mare, / er timone l’impugno tra le dita. / Isso le vele der “Favoleggiare” / sull’arbero maestro de la vita. // Tengo la rotta, la realtà è svanita / a bordo porto solo Sogni a fiocchi / e matasse de Fantasia infinita; / tanti li giochi, tanti li balocchi. In questa poesia c’è tutto Leone, ‘Er sognatore’, che gronda lacrime e sangue, rigonfio fino all’inverosimile di una immaginazione che “nun lo lascia in pace”, capace di sopportare le avversità della vita, mai domo, perché più lo snobbano, più lui è tenace! / Inghiotte vetro e sputa li brillanti. / Dorme tra li rimorsi e li rimpianti / ma sempre ad occhi aperti guarda avanti. Il verso: Inghiotte vetro e sputa li brillanti, secondo me, può valere un libro. E il mio personale augurio è che Leone sappia sputare in futuro altri brillanti. Leone Antenone ha coinvolto nel suo libro altri otto poeti compagni di gioco che si sono cimentati nelle poesie a “Palloncino” e ognuno a suo modo ha interpretato il divertissement con l’impegno che richiede un gioco, con la partecipazione toto corde e la serietà che mettono nel gioco i bambini. I risultati sono sotto gli occhi di tutti noi, di tutti quelli, naturalmente che leggeranno il libro. Auguro a Leone e ai suoi amici poeti, per lo più giovani, i migliori successi. Mi permetto solo, avendoli a più riprese visti impegnati nei loro giochi, e stimandoli, che sappiano osare di più, che sappiano ancor di più mettersi in gioco. Come? In due maniere: 1) uscendo dalle gabbie metriche consolidate (sonetto e quant’altro) e tentando metri più liberi; 2) confrontandosi con la migliore poesia dialettale italiana, con i poeti del resto d’Italia e del mondo. Solo confrontandosi con i migliori potranno ottenere salti di qualità; solo rompendo le gabbie dorate potranno meglio spiccare il volo e giocare un gioco più ardimentoso. Per il resto lasciamo che Leone e ai suoi partner si divertano seguendo l’esempio di Aldo Palazzeschi che, più di un secolo fa, nel 1910, cantava: E lasciatemi divertire // Tri, tri tri / Fru fru fru, / uhi uhi uhi, / ihu ihu, ihu. // Il poeta si diverte, / pazzamente, / smisuratamente. (…) Infine, / io ho pienamente ragione, / i tempi sono cambiati, / gli uomini non domandano più nulla / dai poeti: / e lasciatemi divertire! 

Vincenzo Luciani

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